Da LETTERA43
Che lo insultino, che lo facciano per strada, che lo
facciano davanti ai suoi figli, beh è cosa sommamente riprovevole. Che possano
essere dei degni rappresentanti della marmaglia grillista (ma anche renzista o salvinista:
quei tre pari sono) dedita a smontare ogni cosa da cui possa promanare un vago
sentore di “casta” è plausibile. Che lo facciano per invidia (per invidia: come si dimostra con una “causale” tutto il
danno fatto in vent’anni di berlusconismo) è magari cosa tutta da provare.
Magari semplicemente ci si stanca degli ometti per tutte le
stagioni (non solo televisive). Magari nei tempi confusi che stiamo vivendo
(niente più destra e/o sinistra, solo sopra e sotto) le figurine mainstream che pretendono
impartire lezioni di stile, etica, humor e perfino estetica, agli occhi dei loro
assidui seguaci hanno perso semplicemente di credibilità. E quando dai loro alti
scranni istruiscono il volgo circa le nuove modalità di relazionarsi col mondo,
il volgo che si trova, non a destra o a sinistra, ma solo in basso a
raccogliere solo gli schizzi degli sputi di tanto mirabile oratoria, il volgo,
come è triste tendenza nei tempi confusi che stiamo vivendo, si chiede (e
osserva) da quale pulpito… con quello che ne segue.
Magari il volgo si è magari pure leggermente rotto i maroni
d’esser preso deliziosamente per il culo da un semplice (e giustamente ben
remunerato) piazzista di spazi televisivi. Da lui e da quelli come lui. Il
fighetto tartufesco e i suoi bei circoli dell’ovvio, del luogo comune, dell’ultimo
modello del nuovo stereotipo. Quello a cui il volgo, invidioso magari,
recalcitra ad adeguarsi.
Potrebbe perfino rappresentare (il fastidio per l’ometto,
non l’insulto) un soprassalto di noia per questa nuova montante marea di nuovo
(vecchissimo) conformismo.
Peggio della post-verità - è assodato - ormai c’è solo la “verità”.
Che è servita.