giovedì 26 marzo 2015

Fuori controllo

Dopo tutto o… prima del nulla. Prima del non rifiuto a quello che si presenta com’è. Come sarà. Come poteva essere e non è… Non sarà e, in un attimo di definita eternità, non sarà stato mai. Chiuso o racchiuso… Comunque socchiuso… Un riflesso di senso… Una tenue parvenza quando, prima e dopo, tutto appare nella sua improbabile tenera interezza… Un grido che si fa respiro e poi lento inesorabile avanzamento verso… contro! la luce. Farsi ombra del buio che sovviene al proprio mancamento. In tentativo di prima accennata impressione. Senza nome… Senza nomi… Il balbettio primordiale… La dipendenza dell’amore dall’amore… Passivo apprendimento senza presa… Di pura passionale debolezza… Laidi e pur ingenui effimeri bisogni a coronare i sogni; che si faranno segni. Interrotti congiungimenti e con-giunzioni… Dar nome alle cose… Farne, delle cose, conseguenze a i nomi… Sequenziando tratti di senso ai sensi. Per gioco… Per oltraggiare il pensiero che tende a una sua forma … Senza legami stretti col reale… Col presunto tale… Quello che sembra o quello che con-viene… Un mondo a sé… Fuori dal mondo… Nega se puoi… Se vuoi ... Se devi ancora crescere o morire… Per grazia celestiale ricevuta o mala sorte d’essere divino. Unico rantolo raccolto che il cielo indifferente ascolterà … e poi supinamente accordati al residuo senso che ne viene. Intanto credi ad una esterna estrema volontà… fredda… esposta alla tormenta di strani desideri… per… per sapere… e non voler sapere… Chiedi lumi. Accendi la lanterna dello sguardo in ultimo richiamo. E circostanze e modi e tempi e luoghi rarefatti. Figure nello spazio piano che frettolosamente prende eppure perde dimensione. Fino a saggiare intensamente l’imponderabile che sostiene il tutto. Pilastri di saggezza o perle. Frutti di carnale profumata essenza… o cause prime votate a ultimazione… Fine ultimo/a. Vulva che espelle la sua maternità. Cacciate in paradiso le fiere minacciose, Uomo, hai consumato freddi pasti di venialità sacrificando al fuoco del tuo soffio desolato quello che, prima del sonno e della morte, osasti affidare alla parola. Speranza fu nel tempo breve d’una favilla che si spegne nell’ascesa al cielo. Poi nulla. A coltivare i frutti del tuo sterile seme e nello stupido cammino che chiamasti viaggio, ormai sfinito, a cercare l’abbandono, trascinando la tua triste soma. Forma di croce e di delizia… Ora nulla hai… Solo uno sguardo che si smarrisce in un misero segmento d’infinito. Stringi nel pugno quel che sei. Sarà stolta pavida rinuncia, quella che chiami forza inetta, ad impedirti di mostrare il palmo della verità e in un mattino freddo un corpo rannicchiato, solo, ad anelare a l nulla. Raccogli il poco e nulla di un già muto racconto. Non vuoi… Non vuoi sentire più… Non c’è tepore che abbia un vago sapore di salvezza… Ma non c’è scampo, mai, dopo il risveglio. Solo l’ossessione di quel battito ossessivo… Non altro che illusione. Non altro che un patetico volere di… non volere più… Non altro…

mercoledì 25 marzo 2015

In_certo inizio

Un trauma. Perfino la nascita. L’abbaglio di luce. L’abbandono delle acque. La scoperta gravità. La impossibile in-capacità di quel primo respiro si apre al pianto. Una soluzione premonitrice che già ammonisce. Un trauma la prima sillaba pronunciata col labbro tremante. L’occhio smarrito che si affida alla benevolenza degli astanti. Il primo oggetto afferrato, piccola mano aggrappata alla conoscenza e alla sua brama. La perdita dei sensi primordiali, perso l’odor di mamma e di mammella, deve ritrovarla nell’imago. Il risveglio. L’abbandono. Il primo passo ad azzardare il vuoto. Un trauma la voce alzata. Piccole grida oltre la stanza. La lotta. I corpi aggrovigliati mugolanti di piacere hanno il suoni del dolore. Un trauma il tradimento del gatto, di un giocattolo rotto o di un amico. La gelosia di un fratello. Traumi o solo battiti d’ali di farfalle colorate nell’ angolo sperduto di un tranquillo cielo che genera tempesta in mondo altro (sempre lo stesso) in altro tempo (sempre il suo tempo). E la quiete che ne segue che si riverbera e pure non si tramuterà mai uguale a quel che era. Slancio nel vuoto, per ritrovarsi trasformata, slanciata, riverberata in una maledizione che non avrà mai fine. Dagli avi, da una genealogia di tra-passi. Per ripetizione di rito. Un cupo presagio, una ferita mai rimarginata. Morte oltraggiata. Fine di un momento. Tutto si riassorbe lavorando di fino sotto la crosta d’apparente normalità. Solo emerge, saltuariamente, tramandata nei gesti quotidiani, mai troppo innocenti, eppur dolenti, nelle parole in fuga, nelle rivelazioni più banali, nei nascosti pensieri, da mai confidare, da mai tramandare. E ritrovarsi dopo qualche ciclo di generazioni, stessa tempesta, generata da stessa lontana e morta farfalla, dal suo ininfluente battito d’ali per filogenesi o teoria di storta storia. per distrazione o distorsione, riemergere nel dolore primigenio. Intermittenza del cuore. L’indeterminatezza già troppo determinata. Lo scoppio ha sapore di sorpresa. Volto sconvolto. un tragico consegnarsi di vita in vita. La morte! Anime traumatizzate. Cimenti di spade o sfide nucleari. Trapassi di parti a patri o gravi-danze idee. Luciferino miscuglio di solennità, casuale, incomprensibile. Moto d’astri e di stelle. Trapassi debitamente scontati nei secoli dei secoli per crimini innocenti. Ed indecenti eccessi. A pagare ognuno le altrui colpe e far pagar le proprie alle future genti. Figlie nostre de-generate. Assoluzione non v’è. Solo interminabile incompresa muta sorpresa e pur sospesa pendente… condanna.

martedì 24 marzo 2015

Addio dio crudele. Non sembra cogliere il senso. Ma nessuno mai coglierà il frutto proibito. Addio. Parola difficile. Forse impossibile. Permeata com'è di dedica a un nulla che salva il dubbio degli incerti. E pure a cui tutto è sacrificato. A dio... ad io... Senza ritorno. Un dio odio-so... Nel nome del quale si vive e si muore. Si uccide il dio rimosso troppo presente... di un io di terribilità... Bruciare il libro. Dio miseri-cordioso che sei. Se davvero lo sei, è l'ora di un discreto tramonto. Di sui-ci-dio prego ... di affidare alla dimenticanza il piccolo resto dei giorni a venire. Via quel nome, quella maledetta parola che troppo ci rassomiglia, troppo presume di definire il limite di nostra natura... È poco. Troppo poco ancora. Il solo bestemmiarti... di totale rinnegazione... poveri piccoli uomini abbiamo il bisogno di un nulla salvifico fatto di terrore ed abbandono. Di morte certa. Di terra alla terra. Di cenere al vento, di distolta verità. Non prima... non dopo... Non fiat lux... Ma solo di un buio intravisto nei barlumi di una domanda senza risposta. Intrisa di solitudine. Sei troppo sole nel giorno e troppo chiarore di luna di notte. E noi volevamo le piccole stelle, la lontananza, il dubbio d'esistere, di non sapere del prima… del dopo... Volevamo bere la pioggia, non adorarla; temere la folgore e non temerne la divinità. E non profezie... e comandamenti di morte. Noi volevamo... volevamo il dolce amaro succo del tormento di non avere certezza né verità. Sentire quel freddo che ti costringe a cercare tepore in qualche amorevole abbraccio... Dio... a cui non si può credere… né cedere. Non si vuole credere. Te ne preghiamo, sparisci da questo povero inquieto mondo. Vattene e lasciaci raccogliere gli ultimi marci frutti caduti. Lasciali in pace, te ne preghiamo, i piccoli uomini. Morenti e smarriti. Un po’ in pace, di pace, di pace. Di parole e silenzio.